L’estrusione chirurgica può essere una soluzione interessante da conoscere e saper mettere in pratica, soprattutto quando si trattano pazienti con elementi compromessi e che esprimono al clinico specifiche necessità, in particolar modo la volontà di mantenere i propri elementi, seppur compromessi. Inoltre, questa tecnica consente di eseguire il trattamento con tempistiche ridotte.
Lo spiegano chiaramente Riccardo Becciani, Davide Faganello e Mauro Fradeani nell’articolo “Surgical extrusion: a simplified esthetic method of treating non-restorable teeth. Rationale and case report”.
Il restauro di elementi compromessi dalla perdita di corona e di struttura radicolare, dovuta a carie, fratture, riassorbimento radicolare o lesioni iatrogene, potrebbe comportare la violazione dell'ampiezza biologica, con conseguente infiammazione gengivale, perdita di aderenza e perdita di osso alveolare. In questi casi, diventa perciò essenziale recuperare una porzione sufficientemente adeguata della struttura del dente per consentire un restauro che rispetti l'ampiezza biologica.
Obiettivo che è possibile raggiungere, appunto, grazie a un intervento di estrusione chirurgica. Si tratta di una procedura che consente di trazionare la radice occlusalmente in un unico passaggio, spostando così il sito compromesso da sottogengivale a sopragengivale. Così sarà possibile ottenere uno spazio adeguato per ristabilire l'ampiezza biologica, semplificando e velocizzando le procedure restaurative.
Questo trattamento, che Brecciani et al. definiscono “rapido e affidabile”, combina perfettamente le attuali tecniche adesive e i più recenti materiali da restauro con la moderna preparazione degli elementi. Per questo motivo, si allinea perfettamente con la filosofia delle procedure minimamente invasive, portando importanti vantaggi ai pazienti.
Abbiamo avuto modo di confrontarci con uno dei nostri tootor per quanto riguarda questa tecnica. Cristian Coraini, esperto endodonzista e Segretario culturale nazionale della Società Italiana di Endodonzia (SIE), ci racconta di come ha conosciuto questa metodica e di come gli sia da subito apparsa una interessante soluzione per il clinico.
“Nella nostra professione non si finisce mai di imparare – spiega Coraini, – e anche se lavoro ormai da vent'anni ho scoperto solo di recente questa metodica. Nel 2018 un collega molto bravo, molto addentro la materia, Riccardo Becciani, ha pubblicato una revisione su questa metodica su una importante rivista internazionale. Poi, proprio poco dopo la pubblicazione, ho avuto l’occasione di ascoltare una delle sue relazioni, e ne sono rimasto affascinato, tanto che poi mi sono messo in contatto con Riccardo per approfondirla.”
“È una metodica indicata in tutti i casi in cui, per la presenza di carie destruenti o di fratture, l'odontoiatra si trova di fronte a degli elementi che non sono recuperabili – spiega Coraini – o che si possono recuperare attraverso le tre metodiche tradizionali dell'odontoiatria: l'estrusione ortodontica o eruzione forzata, l'allungamento di una corona clinica e l'estrazione con conseguente implantologia. Ciascuna di queste tre metodiche funziona. Sono metodiche che hanno vantaggi e svantaggi, indicazioni e limiti, ma che in ogni caso comportano delle tempistiche di protocollo che l'estrusione chirurgica bypassa e accorcia tantissimo.”
E prosegue: “Quindi, tenendo sempre presente i tempi di guarigione biologici, in un momento nel quale il paziente ha bisogno di ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo, in tempi ridotti e magari anche in modo abbastanza economico, questa è una metodica che invito sfiziosamente a conoscere”.
È importante, spiega inoltre Coraini, essere molto diretti con il paziente, chiarendo fin da subito che il dente è già perso, e che questa si presenta come una vera e propria “last chance”, un ultimo estremo tentativo per provare a recuperare l’elemento. In questo modo, sia il paziente che l’odontoiatra affronteranno l’intervento con la giusta serenità d’animo.