La riabilitazione dell’edentulismo mediante impianti osteointegrati ha rivoluzionato il campo dell’odontoiatria e migliorato la qualità della vita dei pazienti. Tuttavia, l’insufficienza ossea rimane una sfida importante per la riabilitazione implantare, soprattutto se sviluppata come conseguenza di diverse malattie sistemiche, malattie parodontali, traumi e tumori.
Per garantire una buona prognosi a lungo termine, infatti, è necessario avere un volume di osso sufficiente a riempire i siti da trattare. Motivo per cui, negli anni, sono state messe in atto diverse strategie utili a risolvere questa problematica.
Oggi approfondiremo la rigenerazione ossea guidata (Guided Bone Regeneration - GBR), ovvero uno dei metodi più comunemente applicati per la ricostruzione dell’osso alveolare e per trattare le deiscenze ossee perimplantari.
Nei primi sei mesi dopo la perdita della dentatura, il riassorbimento osseo avviene in direzione orizzontale e, successivamente, anche in direzione verticale.
L’estensione e la prognosi del trattamento, però, dipendono dalla gravità della perdita ossea e dall’ampiezza del difetto osseo, e di conseguenza influenzano anche la scelta dell’innesto.
In particolare, infatti, la rigenerazione ossea risulta complicata quando si deve approcciare un difetto osseo verticale o un difetto orizzontale in stato avanzato. In questi casi, si interviene impiegando la Guided Bone Regeneration.
L’attuazione di un protocollo di Guided Bone Regeneration implica l’utilizzo contestuale di membrane, che possono essere riassorbibili o non riassorbibili. Queste membrane vengono posizionate sopra al sito da rigenerare isolandolo dai tessuti connettivali e creando così un effetto tenda che permette alle cellule dell’osso di colonizzare quest’area.
Gli innesti più utilizzati per la rigenerazione ossea sono: osso autologo, osso eterologo e la combinazione dei due.
Durante gli interventi di Guided Bone Regeneration, il rischio maggiore è la possibilità che l’innesto si infetti, soprattutto durante il mese successivo al trattamento. Si tratta di una problematica che si presenta statisticamente nel 5% dei casi trattati e, nella maggior parte di essi, può determinare la perdita completa o parziale dell’innesto osseo. Ragione per cui potrebbe essere necessario reintervenire, eseguendo nuovamente la fase rigenerativa.
Inoltre, altri effetti avversi, anche se di minor entità, possono riguardare le zone di prelievo osseo. Soprattutto nei giorni successivi all’intervento, infatti, si possono evidenziare gonfiore, ematomi o dolore.
In ogni caso, dopo aver fatto passare il periodo necessario per il rimaneggiamento osseo, se il tessuto è di buona qualità, sarà possibile inserire gli impianti dentali e riabilitare protesicamente l’area edentula.
Fonti:
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/28833567/